Parrocchia, Chiesa dalle genti

Parrocchia Missionaria

Oggi, per essere autentica comunità ecclesiale, bisogna aprirsi all’universalità


Il mondo cambia, anche in fretta; basta vedere l’immigrazione che ci porta a contatto con gente di diversa provenienza. Se c’è una previsione – facile e scontata – per il futuro, è un'eterogeneità sempre più diffusa, ad ogni livello.

Questo fenomeno interessa anche la Parrocchia, chiamata anzitutto ad aiutare i suoi membri a prendere coscienza di questo tra i più vistosi “segni dei tempi”: oggi, per essere autentica comunità ecclesiale, bisogna aprirsi all’universalità, prendendo come modello della propria attività pastorale la “missione alle genti”.

Anche nelle nostre chiese è tempo di dare voce alla preghiera dei nostri fratelli e sorelle di fede nella loro lingua nativa, in segno di ospitalità, per celebrare la varietà dei doni dello Spirito ed educarci alla comunione.

Il Papa che parla la lingua del popolo che lo accoglie ci richiama la verità della chiesa universale, che oggi si attualizza anche con queste presenze, i gemellaggi, gli scambi di ogni genere, ma che già nei secoli passati ha realizzato l’unità dei popoli.

Lo Spirito chiede a noi di perderci (lasciare la fissità della nostra cultura, la lingua, le tradizioni…) per poi ridonarci pari pari le stesse lingue, tradizioni e culture, ma in modo diverso, filtrato con l’occhio dell’amore. Un modo che non divide ma integra, non esclude ma include, perché il messaggio di Gesù costruisce la comunità umana componendo insieme tutte le diversità.

L’azione dello Spirito, che è libera, creativa, promozionale, non appiattisce come la globalizzazione, che invece allinea tutti nel vestire, nel mangiare, nel parlare…, perché il diverso disturba. 
Da noi è vero il contrario: lo Spirito compone e armonizza le diversità.

Così la parrocchia è un piccolo esempio di come sarò il mondo di domani: senza barriere, dove regola di vita comunemente accolta è la fraternità, dove si convive, senza vergogna o presunzione, tra diversi; una famiglia serena, in cui con pazienza si ricompongono i rapporti interrotti, perché prevalgono le ragioni del bene comune, con qualche sacrificio personale, ampiamente ricompensato; un luogo di socializzazione e di amicizia, per frenare le spinte individualiste che dividono, contrappongono, emarginano.

Non vogliamo salvaguardare una “struttura”, ma favorire una “rete di relazioni”, un ambito di esperienze, un luogo di rapporti rinnovati, che si presenta al mondo come una proposta.
Il compito missionario non è per “addetti ai lavori”, ma di ogni credente che si sente “missionario” nella sua comunità.
 

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